ROMA – L’attuale Capo di Stato Maggiore, Claudio Graziano, in un’intervista all’ Espresso, propone alcune soluzioni in merito alla situazione dell’esercito italiano e dei tagli: “In Italia ci sono 450 caserme ma ne basterebbero 15, gli attuali costi di gestione sono insostenibili e oggi non riusciamo a fare fronte alle spese per tenerle in funzione e spostare mezzi e personale in giro per l’Italia”. Continua: “ Mentre la dismissione di 450 caserme potrebbe dare risorse pari nel tempo a 4-5 miliardi di euro e creare un’occasione di sviluppo per il Paese”. Claudio Graziano, generale dell’esercito, è stato un militare di prima linea, al suo attivo ha il comando della missione per la pacificazione del Mozambico nel 1992, la missione Nato a Kabul nel 2005, e in Libano per tre anni nel 2007.
Il 14 ottobre 2011 è stato nominato Capo di stato maggiore dell’Esercito italiano e ha assunto ufficialmente l’incarico il 6 dicembre.
Alla domanda su cosa pensa del cambiamento della situazione geo- strategica ha risposto: “ Noi abbiamo sviluppato un modello concettuale, che dovremo adattare alle risorse disponibili. La prima vera metamorfosi è stato il passaggio dalla leva ai professionisti, impostato cercando di immaginare il futuro: nelle missioni quel modello ha dimostrato di funzionare bene. Oggi quello che serve è un esercito flessibile, in grado di potersi adattare a tutti gli scenari possibili: peacekeeping o assistenza umanitaria, incluse situazioni di combattimento ad alta intensità come accade in Afghanistan. Abbiamo definito una struttura modulare, che ha come perno le brigate di manovra: in Afghanistan gestiscono fino a 9.000 uomini. Per questo stiamo riducendo il numero dei comandi e dei supporti: cerchiamo di accorpare unità, asciugare la catena di comando ed eliminare tutte le duplicazioni, anche nello stato maggiore, per privilegiare la componente operativa. Quella che stiamo realizzando è una trasformazione a costo zero, senza investimenti: dobbiamo farcela, anche se credo che a pochi Paesi sia riuscita”.
Riguardo ai forti tagli del governo: “Oggi sulla carta l’Esercito ha 112 mila uomini e donne. Nel 2016 per effetto della spending review saremo 100 mila; poi entro il 2024 scenderemo a circa 90 mila. E’ un processo di riduzione complesso perché vogliamo salvaguardare le legittime aspettative del personale fulcro della forza armata ma che porterà dei risparmi che si tradurranno in addestramento ed equipaggiamenti cioè in capacità di operare allo stesso livello degli ultimi anni in un quadro finanziario sfavorevole “.
Riguardo al numero di soldati per le missioni:
“Oggi lo ritengo tale. Certo, nei 90 mila è compreso il personale in addestramento e quello destinato a funzioni che in altri Paesi sono svolte dai civili. Quindi le forze operative saranno composte da 65 mila militari per sostenere nove brigate, inclusi supporti e i comandi. Tenuto conto della relativa rigidità del mercato del lavoro e che le strutture militari devono tenere il personale più a lungo rispetto a quanto accade in altre nazioni, questo è il numero limite per assolvere in maniera adeguata i compiti assegnati e per garantire le forze addestrate necessarie per le missioni di oggi e di domani.”.
Riguardo al rischio di ritrovarci soldati troppo anziani per le missioni a causa dei tagli risponde: “
“La risposta breve è: sì corriamo il rischio. La risposta articolata è che dobbiamo trovare il modo di intervenire in termini procedurali e normativi. L’esigenza è quella di avere 40 mila giovani, di ogni categoria, idonei all’impiego e costruire un’offerta che invogli ad arruolarsi. Il successo nelle missioni è avvenuto perché avevamo personale di qualità. Quindi da un lato è necessario assegnare il personale più giovane ai reparti operativi e poi garantire il passaggio graduale a compiti meno gravosi. Dall’altro è necessario introdurre dei processi che rendano possibile il transito del personale meno giovane presso altre amministrazioni dello Stato. In particolare, a mio avviso, potremmo transitare un elevato numero di militari nel personale civile della Difesa questo a similitudine di Paesi quali gli Stati Uniti in cui gran parte dei dipendenti civili del Pentagono provengono dai ranghi militari. Naturalmente queste sono tutte formule che vanno definite nei prossimi anni”.
Fonte: espresso.repubblica.it