L’attore Marco Paolini ha raccontato magistralmente in un suo spettacolo il dramma del Vajont; la sera del 9 ottobre del 1963 circa 300 milioni di metri cubi si staccarono dal versante settentrionale del monte Toc, riversandosi in maniera devastante nel bacino artificiale della diga del Vajont. Quello che avvenne fu l’equivalente di un maremoto, due ondate immense travolsero interi centri abitati, provocando la morte di 1910 persone. I ricercatori dell’Università di Padova e dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica di Trieste, attraverso un lavoro congiunto realizzeranno un modello 3D dell’area in cui avvenne il disastro per studiare i dissesti idrogeologici della zona. Il progetto prevede rilevamenti sismici e geoelettrici; si simuleranno piccoli terremoti per vedere la reazione del terreno per esempio. Questo tipo di analisi verrà applicato a zone con caratteristiche analoghe con capacità previsionale, onde evitare, laddove fosse possibile, disastri di questa portata. Un appunto sull’incuria umana è doveroso poiché la diga venne edificata in un luogo che presagiva disastri; appoggiata ai lati di due montagne era prevedibile subisse danni in seguito a scosse sismiche. Ancora una volta il profitto e l’illusione di uno sviluppo economico sono scivolati nell’incoscienza, costando la vita a quasi 2000 persone, segnando il futuro di chi è sopravvissuto, uno dei tanti atti criminali di uomini senza scrupoli.