ROMA – La seconda puntata dell’inchiesta delle ecomafie in Campania, del corriere dalla sera a cura di Antonio Crispino, denominata “Ultimo atto carosello”. Il sistema ecomafioso della Campania, è un sistema di società a carosello attraverso cui nascondono gli enormi guadagni, un sitema impegnato nello smaltimento illecito dei rifiuti tossici. Il 27 dicembre finirà la requisitoria del Pm Maria Cristina Ribera, con la sentenza per i 40 imputati, tra cui 3 carabinieri e imprenditori coinvolti nel grande business mortale ecomafioso.
La scoperta fu casuale, ad opera dei carabinieri di Noe, che durante un semplice e ordinario sopraluogo scoprirono l’esistenza di una cava abusiva ad Acerra, alle porte di Napoli, dove venivano smaltiti illecitamente rifiuti tossici.
La storia viene raccontata da Alessandro Cannavacciuolo dalle telecamere del corriere della sera, che da un giorno all’altro ha visto nascere le sue pecore malate, deformi o morte, e ha assistito alla morte improvvisa della sue pecore adulte. Dalle analisi del sangue effettuate, sono stati riscontrati 51 picogrammi di diossina, il massimo tollerato per l’uomo e l’animale è 3.
Inoltre dalla perizia dell’Arpac, periti di fiducia del Pm, sui terreni contaminati è emerso che sotto il terreno su cui pascolavano c’erano, tutti i rifiuti tossici industriali smaltiti illecitamente, solventi, amianto, mercurio, cadmio, idrocarburi, solventi , diossine, oli minerali, polveri di camini industriali, scarti di acciaierie, di vernici.
Tutti i rifiuti tossici delle industrie della Enichem di Siracusa, della Decindustria di Pisa e della Nuova Esa di Porto Marghera. L’eco mafia in Campania si chiama “Sistema Pellini”, è organizzato dagli imprenditori del clan Belforte di Marcianise, secondo la Dda di Napoli e il pm Maria Cristina Ribera, e prevede lo scavo di buche, seppellendo tonnellate di rifiuti tossici molto pericolosi. Secondo gli inquirenti utilizzavano la tecnica del “giro bolla”, trasformandoli in compost, cioè falsificavano l’etichetta di ogni rifiuto che da nocivo veniva trasformato in compost, diventava fertilizzante per il terreno: “Peccato che dove spargevamo questo “compost”, sulla terra non cresceva più niente” raccontano i contadini davanti alla telecamere di corrieretv.
Sembra che in un anno hanno smaltito 300 mila tonnellate di rifiuti cancerogeni, al prezzo di 1-2 centesimi, invece che 60 centesimi al chilo, con un risparmio di milioni di euro. Tra i fedeli clienti risulta anche la Banca d’Italia, sottoscritta nel portafoglio dei contratti, di cui sono stare rinvenute nella cava banconote triturate in lenta combustione. A Giugliano, la stessa tecnica di smaltimento di rifiuti è avvenuta a contatto con una falda acquifera.
Ribera, della Direzione distrettuale Antimafia, ha precisato che le “società carosello” nascondevano il grande business, emettendo fatture per operazioni inesistenti per creare finti costi evadendo le tasse.
Un imprenditore “pentito”, racconta ripreso da una telecamera nascosta, del corrieretv, di quando sotterrò 100 metri lineari di rifiuti tossici di amianto in una grande buca: “Oggi su quel terreno nasce una palazzina di 4 piani, spesso quando si andava di fretta, non si perdeva tempo a scaricare i bidoni dal camion: lo si sotterrava direttamente con il carico di rifiuti. La gran parte dei rifiuti, tipo l’amianto, veniva triturato e mischiato con il cemento. Con quel cemento è stata costruita persino una scuola materna ad Acerra”.
Dopo centinaia di denuncie, che non arrivavano mai in Procura perché il giochino ecomafioso, veniva coperto da 3 carabinieri del Noe, uno dei quali il fratello dei Pellini, che furono arrestati nel 2006.
Alessandro Cannavacciuolo, 24 anni, solo a combattere un sistema eco mafioso immortale, racconta cosa accadeva se si cercava di denunciare il fatto: “Non facevamo in tempo a presentare la denuncia che il denunciante veniva minacciato il giorno stesso” e continua : “Oggi la gente muore di tumore” aggiunge un altro contadino. Alessandro continua: “Loro cambiavano le etichette di provenienza. Facevano scrivere che venivano dal Lazio non dalla Campania” , e molti contadini hanno iniziato a rivolgersi al boss Pasquale Di Fiore, per chiedere di fermare lo smaltimento dei rifiuti tossici sotterrato nei loro terreni.
Fonti: Corriere della sera a cura di Antonio Crispino