Strategia illegale, oltre che moralmente deprecabile. Se esercitata dalla politica, l’induzione all’astensione dal voto elettorale è un reato penalmente perseguibile. Lo stabilisce la Costituzione italiana. Il Testo unico dell’articolo 98 prevede infatti che “il pubblico ufficiale, l’incaricato di un pubblico servizio, l’esercente di pubblica necessità, il ministro di qualsiasi culto, chiunque investito di un pubblico potere o funzione civile o militare, abusando delle proprie attribuzioni e nell’esercizio di esse, si adopera a costringere gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati od a vincolare i suffragi degli elettori a favore od in pregiudizio di determinate liste o di determinati candidati o ad indurli all’astensione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni, e con la multa da euro 309 ad euro 2.065”. Questo vale anche per le consultazioni referendarie: “Le sanzioni previste dagli articoli 96, 97 e 98 del suddetto testo unico si applicano anche quando i fatti negli articoli stessi contemplati riguardino le firme per richieste di referendum o per proposte di legge, o voti, o astensioni di voto relativamente ai referendum”. Il costituzionalista Stefano Ceccanti chiarisce meglio la certezza del reato, punito con la pena detentiva quando qualunque pubblico potere “si adoperi per indurre gli elettori all’astensione”. “Quando un membro del Governo o del Parlamento esprime una posizione politica favorevole all’astensione esprime di fatto una posizione politica – rileva Ceccanti – e non è detto che in quel momento si possa configurare come un pubblico ufficiale. In ogni caso non sta abusando del suo potere. Altra cosa sarebbe se il pubblico ufficiale sabotasse i registri elettorali o non facesse installare i seggi. In quel caso sì che commetterebbe un reato. Ma l’opinione pro astensione è un’opinione politica e questo è insindacabile”. Se esercitata da altri soggetti che non ricoprono le suddette cariche, l’induzione all’astensione è invece legittimata dall’articolo 21 della Costituzione.
TRIVELLE – Nella giornata di domenica 17 aprile i cittadini italiani aventi diritto di voto saranno chiamati ad esprimersi sul tema delle trivellazioni, esposto nel seguente quesito: “Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016), limitatamente alle seguenti parole: ‘per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale’?” Il riferimento è alle piattaforme attive nell’estrazione di petrolio e gas naturale, situate entro le 12 miglia dalla costa italiana. Il fronte dell’astensione, sostenuto proprio dal premier Matteo Renzi, spera nel fallimento del referendum, valido col raggiungimento del quorum – i sondaggi prevedono un’affluenza bassa, non superiore al 40 per cento.