Non solo Saviano. Non sono pochi i giornalisti in Italia che fanno bene il proprio mestiere, andando a fondo sulle questioni scottanti noncuranti dei rischi, per amore della verità; tra questi il palermitano Lirio Abbate, finito al centro di un disegno criminale sul quale indaga la squadra mobile di Roma. Il cronista della rivista L’Espresso aveva pubblicato l’inchiesta “I quattro re di Roma”, incentrata sugli affari dei boss (Michele Senese, Massimo Carminati, Giuseppe Fasciani e Giuseppe Casamonica) che si sono spartiti la capitale. Oltre a questi Abbate – vive sotto scorta da sei anni dopo la pubblicazione del libro “I complici”, nel quale si guarda ai rapporti tra mafia e politica – ha fatto nomi e ricostruito fatti che non comparivano nelle indagini dei magistrati, identificando gli eredi della banda della Magliana legati alle organizzazioni di Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta. Dopo le pesanti minacce che ricevette da Leoluca Bagarella, le nuove contenute in un inquietante messaggio anonimo per il quale Lirio Abbate dovrebbe “stare attento a Riccardino l’albanese, uno dal quale dipende gente che spara”. Ma il cronista difficilmente abbandonerà il suo prezioso lavoro, e l’opera intimidatoria è “la dimostrazione che quando si fa informazione curata e coraggiosa, soprattutto sui rapporti perversi tra politica e criminalità, si rischia molto ma si colpisce il cuore dei veri poteri forti”, si legge nel comunicato dell’Espresso che ha naturalmente espresso solidarietà al suo valoroso giornalista.