C’è chi per protestare scende in piazza, e chi rinuncia alla propria vita. Proprio ieri il tibetano Shichung, 41 anni, si è dato fuoco pubblicamente per contestare la severa politica cinese nei confronti del Tibet. Avvolto dalle fiamme, si è messo a correre lungo una strada, finché le forze gli sono venute meno ed è crollato a terra, bruciando.
E’ un gesto scioccante e coraggioso, quello di Shichung, e proprio per questo la notizia sta facendo in breve il giro del mondo.
Pare che pochi giorni prima di morire avesse rivelato ai propri amici di aver perso la speranza: “Non ci lasceranno mai più in pace”, riporta Free Tibet. La speranza perduta ha strappato alla famiglia di Shichung un uomo che era marito e padre di due ragazze. Ma il suicidio di protesta ha riacceso invece la speranza dei tibetani e dei buddhisti di tutto il mondo, che dopo il suo gesto si sono riuniti per ricordare, attraverso momenti di preghiera, la vittima, martire della libertà.
Erano due mesi che non succedeva una cosa del genere in Tibet. Ma bisogna anche ricordare che dal 2009 ben 122 tibetani hanno scelto la morte come gesto di protesta. Una vera e propria “campagna di suicidi”, come l’ha definita il New York Times: la contestazione è rivolta in generale al dominio della Cina sulla zona tibetana. lo sfociare di atti così estremi nasce poi dal momento in cui viene privata ai tibetani la libertà di culto e religione, in una totale mancanza di rispetto delle tradizioni e del pensiero locali. Polizia e uomini armati sorvegliano i templi buddisti e fanno ronde nei villaggi. E viene da porsi quel dubbio che per Shichung è diventata un’affermazione certa: “Li lasceranno mai in pace?”.